Imbolc, nel cuore dell’inverno la resilienza


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A volte il nostro cuore è nero e triste come un cielo di pieno inverno. Ci sentiamo, o siamo stati davvero, offesi, traditi e dimenticati. Da qualcuno o qualcosa, dalla vita stessa.

Il gelo è sceso sulla nostra voglia di vivere. Abbiamo anche compreso, frutto di lunghe -e faticose- riflessioni, qual’è stata la nostra parte nell’esperienza difficile che ci ha attraversato, qual’è stato il gioco del caso e delle cause, e come, in fondo, non poteva che andare così.

Eppure, non ce la sentiamo ancora di perdonare, o di perdonarci. Siamo attaccati al ricordo dei dolci giorni passati, alla bellezza delle esperienze e al vigore e alla fiducia che provavamo allora. Allora, ma non certo adesso.

Adesso vogliamo solo fermarci nel rimpianto e nell’astio, ricordare con risentimento le gioie passate e l’offesa che la vita ci ha -ingiustamente?- inferto, sentirci feriti e delusi e restare, come una giornata fredda e umida, apatici e rancorosi.

Così la festa celtica di Imbolc del 1° febbraio sembra essere dedicata a noi, che siamo in bilico tra inverno e primavera, incerti se rivolgerci ai frutti raggrinziti dell’anno passato, o a buttarci con tutte le nostre forze -ma quali forze?- nelle gemme che lentamente si stanno ammorbidendo -non certo schiudendo!- sui rami bagnati dalla pioggia. Sentiamo che è troppo presto per rivolgerci alla primavera, ma troppo tardi ormai per gustare i frutti dissolti del passato, che pure avevamo gustato allora, anzi forse un po’ della noia del ricordare si sta impadronendo di noi, e così pare che persino quella gioia illusoria ci venga negata.

Resilienza.

Ci arrendiamo e accogliamo il presente, nel lento fluire della realtà che ci porta con sé e che noi siamo, nella natura che cura tutte le ferite trasformandole. Ci conosceremo diversi nostro malgrado, dopo avere assaggiato la polpa dolce del passato siamo anche in grado di gustare quelle secche bucce nere mummificate dal freddo, che lentamente stanno concimando i nostri cuori, come un’amara medicina.

Andiamo incontro alla tristezza e alla malinconia abbracciandole premurosamente, senza evitarle. Osserviamole con cura e attenzione, lasciamo che il nostro sguardo reso sottile e penetrante come il rasoio del chirurgo dalla verità che ci ha colpiti, si faccia spazio attraverso la paura nei nostri cuori e nelle nostre menti, finché la stagione sembra essere ferma e il movimento verso l’equinozio quasi assente, cavalchiamo l’inerzia perché ci assecondi in questo lavoro di silenziosa guarigione, senza cercarla.

Dopo, non ci sarà più tempo per leccarsi le ferite. Le gocce di pioggia allineate sul ramo si trasformeranno in boccioli impetuosi, e il nuovo ci metterà fretta.

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